1 agosto 2011

Padova Rimini



111 -100- 39
Sono sicura che a qualcuno dei più forti sto strappando un sorriso, per molti effettivamente rappresentano solo un allenamento, anch’io ne sorrido, adesso, ripensandoci – ma di soddisfazione.
Primo assaggio del percorso che forse in agosto (o forse più avanti) ci porterà ad Assisi, due giorni e mezza mattinata di pedalate; una sorta di prova generale, un po’ come indossare scarponi nuovi per una passeggiata di rodaggio per provare punti deboli, per sentire dove qualcosa potrebbe andare storto e per mettere alla prova nel piccolo, muscoli, fiato, capacità di adattamento.
I borsoni attaccati alla bici non sono come la “casetta” essenziale che mi piace portare sulle spalle quando cammino a piedi e dove il peso ha grossa importanza, qui lo ammetto ho caricato un po’ di più, forse anche complice l’inesperienza. Devo dire che la prima sensazione fuori dal cortile di casa è che si alzi la ruota davanti e la bici si impenni (a roda alta par capirse). Chi ti incrocia per strada, secondo me pensa che siamo tedeschi, gente del nord abituata a questo tipo di spostamenti. I ciclisti che passano salutano sempre e quando sentono in risposta un bel “ciao” o un “salve” spesso sorridono stupiti, qualcuno si affianca a chiedere dettagli sul viaggio.
La bici…
Partire piano. Quando si è freschi la mattina vien da mostrare tutta la propria voglia di andare, il proprio entusiasmo, salvo pagare pegno a metà giornata se non si sono risparmiate le forze a sufficienza. La bici non è generosa nei miei confronti, non mi perdona niente. Se non so dosarmi le forze, nutrirmi nel modo giusto, se non riconosco alcuni segnali del mio corpo “prima”, arriva il momento in cui mi lascia a piedi. Dopo è troppo tardi, la fatica è fatica, il male è male, i muscoli si ritirano dalla corsa e…stop! Beh! Magari non proprio stop, ma lenta, lenta, lenta.
All’inizio ho dato i numeri…
Numeri scritti sul contachilometri a indicare quanta strada fatta o quanta ne manca. Numeri a cui ti aggrappi assetata guardando in lontananza cartelli azzurri in fondo agli incroci con dei nomi di paesi scritti, come fontane fresche da cui bevi, ingorda, saziando la sete del prevedere una distanza, ma che lasciano un’asciutta delusione quando la cifra che leggi è ancora troppo alta.
Nomi noti perché sentiti ripetere più volte da Stefano di ritorno dai suoi giri o perché visti nelle sue foto, trasformati ora in luoghi, in persone, prendono corpo, vita, anima. Non più un’anonima foto, ora ricordo, vero.
Stefano ha sempre tagliato l’aria, quell’aria che dopo aver fatto più di 100 km, di ritorno da Pomposa mi ha concesso di andare a BEN 13 Km all’ora pur spingendo i pedali per benino e che con un aggettivo poco appropriato ho chiamato “vento scatenato”.
Mi sentivo sicura nell’avere con me Stefano che ha già percorso più volte la strada, meno sicurezza c’era nel dove avremmo dormito, complice il fatto che non sapevamo di sicuro fin dove io ce l’avrei fatta ad arrivare.
Essere accolti subito al primo tentativo dai salesiani a Codigoro, pur presentandosi là, marito e moglie senza preavvisare, un’accoglienza immediata, una bella stanza con letti e doccia…forse un po’ troppo per un pellegrinaggio ma perché rifiutare ciò che ti offre la provvidenza?
E’ provvidenza anche fidarsi di cambiare percorso, lasciare la strada conosciuta ed inoltrarsi nella pineta, seguendo vaghe indicazioni di un signore che dava per certo strada asfaltata, per trovarsi invece in uno sterrato bellissimo che ricorda i nostri laghetti di Carturo, in mezzo a valli, boschetti, casoni, reti di pescatori, attraversando ponticelli in legno con suoni, colori, odori ben diversi dalla strada trafficata che pure sappiamo esserci a poca distanza da dove ci troviamo.
Seconda notte a Pinarella, posto ben conosciuto dai bikers pellegrini che più volte hanno approfittato della generosità del parroco, abbiamo dormito nel salone del patronato, lo stesso dove i nostri giovani, mia figlia compresa, sono stati ospitati in un loro campo in bici.
Non è facile rispondere alla domanda “com’è andata”? – ci sono cose che necessitano “dell’esperienza” per essere comprese; come posso condividere ciò che i miei occhi hanno visto, le sfumature, i colori, i paesaggi, le barche, il traffico? Come posso spiegare ciò che ho provato nei vari momenti della giornata? E’ sufficiente usare aggettivi? Non si tratta di voler gelosamente tenere per sé sensazioni ed emozioni ma della difficoltà del dire solo cose parziali, di cogliere solo piccoli particolari che, proprio perché vissuti in prima persona, diventano importanti (assume importanza perfino la ricerca di un supermercato per acquistare un tubetto di pasta all’ossido di zinco :-) )
Il giorno della partenza, venerdì, pioveva. Santa pioggia per qualcuno ma a noi non pareva poi così provvidenziale. Con pazienza abbiamo aspettato un po’ per vedere se smetteva, e così è stato. Nuvoloni scuri hanno tentato di minacciare la nostra corsa ora precedendoci, ora affiancandoci mai riuscendo però a bagnarci; con il sorgere del sole per almeno un’oretta un timido arcobaleno ha deciso di stare al nostro fianco, in lontananza, discreto, quasi a dare coraggio, speranza al nostro andare, quasi a dirci: “non preoccupatevi, la pioggia è qui lontana da voi ,andate pure sereni”,
Al di là dei numeri, mi rimane ciò che ho vissuto, ciò che saprò ricordare e che riaffiorerà di tanto in tanto...arcobaleno compreso - e l’avercela fatta.
In fondo esperienza è provare, tentare.



1 commento:

  1. Sono profonde le tue parole e sgorgano dal cuore; sono vere. Sono come le sentirei io se fosse la mia prima esperienza. Se poi guardo le foto, le stesse scattate negli stessi luoghi, ma con te come nuovo soggetto... fa un certo effetto. Che dire?!?, buona strada a te e pensa ad Assisi che ti aspetta a braccia aperte.

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