30 agosto 2011

Tra le valli di San Lucano e Gares.


E' da un po' di tempo che, leggendo il nostro blog, ho voglia di provare a descrivere uno dei miei giri solitari in MTB. So di non essere particolarmente bravo ad esprimere a parole quello che mi passa per la testa mentre pedalo, ma questa uscita che ho fatto durante le mie vacanze nelle Dolomiti è sicuramente un'ottima occasione per provarci.

Il percorso lo avevo fatto alcuni anni fa ma, nonostante le difficoltà tecniche che non sono trascurabili, qualcosa mi ha spinto a ripeterlo. Anticipo subito che il giro è assolutamente da classificare come “ascaro”, pertanto la soddisfazione nel completarlo l'ho trovata soprattutto dentro me stesso, anche se i meravigliosi panorami dolomitici aiutano a sopportare la fatica. Sono partito da Agordo in una splendida mattinata di sole, la meta era Malga Campigat a forcella Cesurette, a oltre 1800 metri di quota. Molto spesso si sente dire che la meta è importante, ma il viaggio non lo è meno, in questa occasione credo che i ruoli siano invertiti, è più importante il viaggio della meta.


Si parte dolci, 10 Km con solo 250 metri di dislivello, percorrendo la Valle di San Lucano racchiusa tra le omonime pale e il massiccio dell'Agner con splendida vista sullo spigolo nord, paradiso degli alpinisti. Qui si viaggia spediti, la mente sgombra e la sensazione di essere piccoli piccoli, le pareti di roccia di oltre 1500 metri che si slanciano verso il cielo accentuano questa sensazione.

Giunti alla frazione di Col di Pra la musica cambia, da qui in poi fatica, fatica e ancora fatica. Si sale di 1000 metri in 10 km scarsi, il fondo stradale è buono, il problema sono le pendenze e la forma fisica, la mia purtroppo è scarsa. Quando non sono più riuscito a pedalare ho deciso di proseguire a piedi, spingendo la bici e guardandomi attorno, che bello andare piano! Ho condiviso le ultime centinaia di metri con due bikers donne, una di Taibon Agordino, l'altra di Abano Terme(!), anche loro a corto di gambe e di fiato. Chiacchierando sul fatto che in bici o a piedi l'importante è andare avanti, dopo 3 ore abbondanti finalmente sono arrivato a Malga Campigat, dove mi sono concesso una meritata pausa.

Il posto particolare, circondato da alte cime tra cui Agner, Focobon, Pale di San Lucano ed a breve distanza anche le Pale di San Martino, mi ha fatto sentire per qualche momento distaccato dalle cose di tutti i giorni; devo dire che questa è una sensazione che provo spesso quando vado in montagna in posti non affollati, e qui, come detto all'inizio, trovo difficoltà ad esprimere con le parole quelle sensazioni che provo: stanchezza fisica, serenità, tranquillità, soddisfazione per essere arrivato e quant'altro. Non lo so, quello che è certo è che riparto contento.

Il ritorno prevede la discesa fino a Gares (la ragazza di Taibon ha mi detto che si pronuncia con la e stretta), 500 metri più sotto. Discesa = divertimento? Niente di più sbagliato, almeno in questo caso. Il sentierno è in condizioni disastrose, per prudenza si scende a piedi per circa 2,5 Km, poi si imbocca la pista ciclabile che porta fino a Cencenighe. Si tratta di una comoda strada bianca, completamente in discesa ed in mezzo ai boschi, dove si riassapora il piacere di andare in bici. A circa metà strada tra Gares e Cencenighe, lasciando momentaneamente la ciclabile, si attraversa l'abitato di Canale d'Agordo, paese natale di Papa Luciani. Una breve tappa è d'obbligo, ciascuno poi si porterà dentro delle sensazioni personali, a me è piaciuto pensare ad un giovane Don Albino a passeggio negli stessi boschi dove ero passato alcuni minuti prima, inconsapevole come tutti noi di quello che gli avrebbe riservato la vita.

Ho concluso il giro stanco, ferito (caduta fortunatamente senza gravi conseguenze), ma felice di essere andato e pronto a ripartire.


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TRACCIA GPS

Donne impresarie.


Leggo ora,al mio ritorno dalle vacanze, i vari post pubblicati dai miei amici Ndemo dai. Mi ha fatto molto piacere che ,in mancanza del " numero legale " siano state coinvolte le compagne ,sia pur in maniera diversa, per condividere giornate in bicicletta. Complimentoni agli uomini,che sono riusciti a dare le motivazioni giuste, e sappiamo noi mariti quanto sia difficile, ma sopratutto complimenti alle donne che hanno realizzato delle vere imprese. Impresarie! come direbbe Toto'.
Vabbe' ,vi allego una foto ,che non c'azzecca niente con la bici ,ma siccome siamo tutti un po' narcisi, e mi su sta foto so vegnu' ben...desso ve a cucche' tutta. No jero in Madagascar ,ma in Croazia sulle cascate del Krka.
Ciao a tutti

23 agosto 2011

Sepolti nei nostri cuori






Anche quest’anno sono riuscito ad andare fin sopra al monte Ortigara, fino al famoso cippo intendo. Siamo partiti da Gallio e attraverso la Valle di Nos, Malga Galmerara, Bivio Italia siamo arrivati in cima. Per tornare siamo scesi lambendo Malga Pozze, passati per Piazza Saline, Malga Moline, Malga Bosco Secco e poi di nuovo per la valle di Nos chiudendo finalmente il giro senza perderci. Non a caso avevo al mio fianco un “pastore” :).
Chi ha fatto con me questo giro ne conosce “l’intensità”, chi non l'ha mai fatto potrà sempre rifarsi il prossimo anno perché penso di riandarci.
A parte i motivi personali che mi legano a questo giro, tutti comunque, andando sull’Ortigara, in bici o a piedi, non abbiamo potuto non pensare almeno per qualche secondo a quei ragazzi e giovani uomini che lì hanno perso la vita, tra l’altro inutilmente, almeno dal punto di vista strategico.
Più che si sale più il paesaggio assomiglia a quello che nella fantasia di ciascuno abbiamo immaginato essere quello lunare, rocce e poco altro. La fatica si fa sentire e le salite, mai impossibili, sembrano comunque interminabili. A volte, in alcuni passaggi, devi scendere e spingere o addirittura prendere la bici in spalla. L’acqua comincia a scarseggiare e sai che non ne troverai altra facilmente e per questo ti viene ancor più sete, se c’è il sole ti bruci, se non c’è hai freddo e comunque, in entrambi i casi, non c’è un riparo per proteggerti…e questi ci hanno perso la vita quassù, per questi sassi.
Sepolti nei nostri cuori è un diario di don Luigi Sbaragli, cappellano militare durante la prima guerra mondiale e testimone diretto degli scontri che ebbero come scenario il monte Ortigara.
Trovo che alcune mie giornate (periodi di vita) assomigliano un po’ all’Ortigara. Sento la fatica che irrigidisce i muscoli della volontà, provo ad idratarmi ma l’acqua è poca e devo misurarla, mi dà fastidio sia il bello che il brutto tempo, non riesco a trovare un riparo alle motivazioni che pur son certo essere state forti all’inizio del mio cammino e allora, come faccio in bici, non mi preoccupo più di arrivare alla meta ma mi basta al tornate successivo, poi magari scendo e così facendo, tornante dopo tornante, in qualche modo vado avanti e arrivo a sera. Non credo bisogna spaventarsi di queste giornate, anzi, bisogna averne cura.
Mio nonno materno, lui si che l'ha vista la grande guerra dato che ci ha partecipato in prima persona, era solito mostrarmi, senza enfasi e orgoglio, una cicatrice che aveva sulla gamba frutto di una ferita a causa di una baionetta nemica in uno scontro all’arma bianca. A seguito di questa ferita fu ricoverato e congedato come invalido di guerra. Con il sorriso dell’esperienza, quella che lui si attribuiva dicendo che avendo vissuto tanto, tanto aveva potuto sbagliare, guardando in modo alternato me e la cicatrice mi diceva: “vedi, Stefano, questa è la ferita che mi ha salvato la vita”. In effetti molti dei suoi commilitoni non sono mai tornati a casa.
E’ difficile vedere in una “brutta giornata” o in un “brutto periodo” o in una “brutta ferita” segnali, non solo di nuova vita, ma soprattutto di vita nuova tuttavia mi rasserena, almeno un po’, vedere come anche nella mia esperienza i momenti difficili a leggerli con pazienza e sincerità di cuore siano stati, nuovi parti alla vita.
Ad alcuni piace il verbo ricominciare, a me piace di più ri-partire, odora di vita. Nulla di quello che si è fatto va perso e nella vita non si ricomincia mai da zero, anche se alle volte sarebbe bello. Ripartire fa sentire male i muscoli che nel frattempo si sono raffreddati, ma è anche segno di speranza che più in là c’è qualcosa o qualcuno che il caso ha creato da sempre per me. Io poi resto del parere che il caso è Dio quando gira in incognita.
Sepolte nel mio cuore ci sono ferite che a seconda di come le "custodisco" possono impedirmi di vivere, mi paralizzano nella paura o mi generano a nuova vita.





19 agosto 2011

Parte seconda Rimini Assisi


Riprendiamo il nostro giro proprio là dove l’avevamo interrotto. Rimini.
Partiti all’alba da Padova in treno, alle 9 siamo già in sella. L’unica differenza è che ci lasciamo alle spalle la pianura e puntiamo verso gli Appennini. Ad onor del vero, devo dire che soprattutto il primo giorno, non sono arrivata nel migliore dei modi…e qui mi fermo nei dettagli. C’è un tipo di fatica alla quale il tuo corpo si oppone, è la fatica del “basta”, è il momento in cui devi fare i conti con ciò che sei, con chi sei, con le tue forze, con la tua persona.
Dopo le salite di San Leo e del Maiolo corpo e testa decidono che è ora di mollare…non ho più forze per continuare, il parroco del paesino dove siamo non c’è ed i paesi successivi sono ancora troppo lontani.
Seduta in una panchina appoggiata al muro del patronato, guardo rassegnata il garage che ho davanti (box con tetto e muri, senza porta), mi sa che stanotte “dormiremo/vegliando” qui.
Inatteso, il parroco arriva e occupa con la sua auto lo spazio che doveva essere il nostro tetto.
Un dono, un regalo in tutti i sensi, sia perché ci apre con grande generosità la porta del patronato, ma soprattutto per aver potuto conoscere una persona davvero straordinaria.
Seconda sera ospiti invece in una grande casa trasformata in piccoli appartamenti per persone anziane che vivono sole o in difficoltà. La persona che ci accoglie è una dottoressa che vive con loro. Ciò che vediamo e che, per quella sera condividiamo con loro, ci lascia senza parole e ci commuove.
Sere successive dalle suore che nonostante non avessimo avvisato del nostro arrivo ci hanno messo a disposizione un salone ed il bagno. Portiamo con noi il loro sorriso sereno.
Ci chiediamo se è solo il caso ad averci portato in questi posti...
Tre tipi di esperienze diverse, tre realtà diverse, tre testimonianze diverse, tutte però ci hanno lasciato un segno profondo...e qualche domanda…..
Non vado oltre, sarebbe solo cronaca di un viaggio.
Chi ha letto i miei sms sa già che le mie gambe mi hanno portata da Rimini a San Leo (583 m) e su a Passo Viamaggio 1050 m. Poi fino all’eremo delle carceri partendo da santa Maria degli Angeli (da 220 m a 791 m) - e già qui avevo le visioni - ma hanno continuato a pedalare anche sopra il Subasio (1290)…e qua mi sono apparsi angeli, arcangeli e cherubini oltre che le antenne che vedete nelle foto. Naturalmente piano, piano, piano.
Pensate che, provare per credere, sotto i 3,9 km all’ora, la misurazione dello spazio si ferma, il mio contachilometri segna ZERO!!!
Questo la dice lunga su quanto veloce andavo in alcuni punti. Però, a parte la rampa di una chiesa (cfr foto), non sono mai scesa…
Per Stefano, a questa grande velocità, effettivamente è stato faticoso starmi dietro…
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13 agosto 2011

13 agosto 2011: Giornata epica!



Nel giorno in cui i "coniugi ciclisti" - Ornella e Stefano - affrontano il passo Viamaggio, per raggiungere Sansepolcro o giù di lì, sulla strada verso Assisi, in questa giornata di mezza estate, con "36 milioni di italiani per le strade", che invece di starsene a casa o nelle località turistiche si sarebbero (secondo i telegiornali) tutti riversati nelle varie vie di comunicazione, tutti inscatolati nelle proprie vetture, oggi ho convinto Luisa a fare un giro in bici con me.
Sarebbe semplice dire "facciamo un giro", ma dove?, i soliti calmi e rilassanti argini? No!, facciamo un po' di Colli e, "terrorizzata" al pensiero che l'avrei fatta "scoppiare", ha ceduto alle mie rassicuranti parole che l'avrei seguita passo-passo, anzi pedalata-dopo-pedalata.
Sicchè io col nuovo acquisto e lei con la fidata "nerazzurra", testimone di tanti chilometri e tante goccie di sudore, abbiamo affrontato assieme le sue prime salite.
Che dire...
Da Treponti le ho fatto assaggiare via Pastorie, quel passaggio semi-segreto che ti porta a Villa di Teolo, ai piedi dell'attacco della salita.



Ultime raccomandazioni... stai in parte, stai alla tua destra... per scalare i cambi?, usa il pollice, sia con la destra che la sinistra... eh vaaai, pian piano, ma neanche troppo (ho visto gente arrancare anche sulla salita di Teolo, o forse ho già dimenticato com'ero io fino a cinque anni fa?).
Insomma cominciamo a salire e, poco prima di affrontare il primo dei quattro tornanti, veniamo piacevolmente sorpresi da uno dei tanti ciclisti (da strada, che non è un dispregiativo) era Alessandro Galenda, uno dei "tosi dea bici" come dice Max.
Così assieme scortiamo Luisa ai suoi primi tornanti e, con estrema dignità, giungiamo alla piazzetta di Teolo.
Acqua alla fontana, un caffè e poi Alessndro prende un'altra strada, mentre noi scendiamo fino a Zovon di Vò.
La discesa se non la conosci e se non la sai affrontare è bene prenderla con cautela: è come essere fortemente assetati ed avere di fronte una bibita ghiacciata... potrebbe far male.
Continuiamo per Bagnara Bassa e raggiungiamo Carbonara. Vorrei provare ad andare a Rovolon e la mia compagna di viaggio (e non solo) dice proviamo, tuttalpiù mi fermo.
Insomma cominciamo a salire e da questa parte la salita è forse meno dolce di Teolo, ma comunque affrontabile e, passato "Bepi alle scuole" e i vari altri ristoranti lungo il percorso, raggiungiamo la chiesa.
Sosta alla fontana e poi proseguiamo.
Impaurendola quando le faccio vedere l'attacco sterrato della salita a Monte Grande, devio verso Teolo e vedo comunque un po' di titubanza nei suoi occhi, perchè qui la salita va forse un po' aldilà delle sue aspettative (ma secondo me non delle sue capacità, perchè sappiamo che è sempre questione di allenamento e...), ma affrontiamo pure questa.
Ad una breve sosta (con foto) per riprendere fiato, ci ritroviamo Alessandro che era salito al Monte della Madonna ed era sceso di là.
Due chiacchere, un saluto e riprendiamo per l'ultimo sforzo, per arrivare alla strada che porta alle Fiorine-MonteMadonna.
Giriamo per Teolo e colgo l'occasione per far notare a Luisa la "discesa" sterrata di via Groppetto, che i "bastardi" dei miei amici (Max, Stefano e Claudio) mi hanno fatto fare in "salita" da Villa, ancora ai miei esordi e poi non ho più fatto.
Qui tutto era fatto e così ci siamo "assaporati" la discesa fino a Treponti, ripassando per via Pastorie.
Eravamo tutti due contenti e soddisfatti, ma deve essere solo l'inizio e mi aspetto nuove uscite...
..tra mille mattini freschi di biciclette...
..nelle ore larghe e vuote di un'estate di città...
..strada facendo vedrai che non sei più da sola...

Ora do voce alle sue sensazioni.
Senior

LA PRIMA VOLTA (sottotitolo "I miei primi quattro tornanti")

"Non c'è montagna più alta di quella che non scalerò..." (L.Jovanotti)
Prendo in prestito questa frase per dire che per me (pseudo-ciclista) a questo punto ci sono solo due paesi sui colli: Teolo e Rovolon!
Ai "duri e puri" della bicicletta farà ridere tutto questo, ma la mia piccola conquista di oggi (chiedo a Senior di darne cronaca) mi insegna tante cose.
La strada è come sempre una buona maestra di vita, esigente, ma paziente... ci mette davanti traguardi e limiti, ma nel mio caso in particolare induce a soffermarmi sulla paura costante di "non essere all'altezza" della situazione, alla paura di fare delle figuracce che ha un pò (o molto a volte) condizionato certe mie scelte.
Decidere di "provare" una piccola salita (diventate poi 2 o 3) è stata la parte più difficile; essere affiancata da Dario che ha sopportato con pazienza i miei 10 km all'ora è stata la più bella; sfiorata e sorpassata da schegge lucenti che si arrampicavano con agilità non mi ha, poi alla fine, creato problemi ( frutto probabilmente di una età in cui non trovo più la necessità di dover fare bella figura.)
L'unica cosa a cui alla fine ho badato veramente era riuscire ad arrivare e passare il primo tornante e poi il secondo, il terzo, il quarto...
Domanda: a piedi la fatica si misura in passi e in bici come si misura??????????
Buone corse a tutti perchè ognuno sappia scommettere sulla propria vita prendendo anche quelle decisioni piccole o grandi che a volte sono nel cassetto da tanto tempo e che impediscono di crescere
"...non c'è scommessa più persa di quella che non giocherò... (L.Jovanotti).
Con questa saggia frase finale non voglio dire che sono migliore, ma che questa volta ho vinto la scommessa contro la parte pigra di me :-)
Luisa


5 agosto 2011

Tanti Auguri FIORE!!!



"Oh, gente, venite qui che c'è il giullare! Giullare son io, che salta e piroetta e che vi fa ridere, che prende in giro i potenti e vi fa vedere come sono tronfi e gonfi i palloni che vanno in giro a far guerre dove noi siamo gli scannati, e ve li faccio sfigurare, gli tolgo il tappo e ... pffs... si sgonfiano. Venite qui che è l'ora e il luogo che io faccia da pagliaccio, che vi insegni. Faccio il saltino, faccio la cantatina, faccio i giochetti! Guarda la lingua come gira! Sembra un coltello, cerca di ricordartelo. Ma io non sono stato sempre ... e questo che vi voglio raccontare, come sono nato.
Non che io non sono nato giullare, non sono venuto con un soffio dal cielo e, op! sono arrivato qui: «Buongiorno, buonasera». No! Io sono il frutto di un miracolo! ..." (da "Il mistero buffo" di Dario Fò)



Nel 1950 uscì il film di Roberto Rossellini "The flowers of St. Francis" (I FIOREtti di San Francesco) che nella versione italiana venne tradotto in "Francesco, il GIULLARE di Dio".



Ora, che altro potremmo aggiungere di più, per celebrare i 50 meravigliosi anni del nostro GIULLARE di corte?



TANTI AUGURI, FIORE! sei il caro amico nel fior fiore degli anni!



Un abbraccio sincero da tutto il gruppo 'NDEMO DAI!

1 agosto 2011

Padova Rimini



111 -100- 39
Sono sicura che a qualcuno dei più forti sto strappando un sorriso, per molti effettivamente rappresentano solo un allenamento, anch’io ne sorrido, adesso, ripensandoci – ma di soddisfazione.
Primo assaggio del percorso che forse in agosto (o forse più avanti) ci porterà ad Assisi, due giorni e mezza mattinata di pedalate; una sorta di prova generale, un po’ come indossare scarponi nuovi per una passeggiata di rodaggio per provare punti deboli, per sentire dove qualcosa potrebbe andare storto e per mettere alla prova nel piccolo, muscoli, fiato, capacità di adattamento.
I borsoni attaccati alla bici non sono come la “casetta” essenziale che mi piace portare sulle spalle quando cammino a piedi e dove il peso ha grossa importanza, qui lo ammetto ho caricato un po’ di più, forse anche complice l’inesperienza. Devo dire che la prima sensazione fuori dal cortile di casa è che si alzi la ruota davanti e la bici si impenni (a roda alta par capirse). Chi ti incrocia per strada, secondo me pensa che siamo tedeschi, gente del nord abituata a questo tipo di spostamenti. I ciclisti che passano salutano sempre e quando sentono in risposta un bel “ciao” o un “salve” spesso sorridono stupiti, qualcuno si affianca a chiedere dettagli sul viaggio.
La bici…
Partire piano. Quando si è freschi la mattina vien da mostrare tutta la propria voglia di andare, il proprio entusiasmo, salvo pagare pegno a metà giornata se non si sono risparmiate le forze a sufficienza. La bici non è generosa nei miei confronti, non mi perdona niente. Se non so dosarmi le forze, nutrirmi nel modo giusto, se non riconosco alcuni segnali del mio corpo “prima”, arriva il momento in cui mi lascia a piedi. Dopo è troppo tardi, la fatica è fatica, il male è male, i muscoli si ritirano dalla corsa e…stop! Beh! Magari non proprio stop, ma lenta, lenta, lenta.
All’inizio ho dato i numeri…
Numeri scritti sul contachilometri a indicare quanta strada fatta o quanta ne manca. Numeri a cui ti aggrappi assetata guardando in lontananza cartelli azzurri in fondo agli incroci con dei nomi di paesi scritti, come fontane fresche da cui bevi, ingorda, saziando la sete del prevedere una distanza, ma che lasciano un’asciutta delusione quando la cifra che leggi è ancora troppo alta.
Nomi noti perché sentiti ripetere più volte da Stefano di ritorno dai suoi giri o perché visti nelle sue foto, trasformati ora in luoghi, in persone, prendono corpo, vita, anima. Non più un’anonima foto, ora ricordo, vero.
Stefano ha sempre tagliato l’aria, quell’aria che dopo aver fatto più di 100 km, di ritorno da Pomposa mi ha concesso di andare a BEN 13 Km all’ora pur spingendo i pedali per benino e che con un aggettivo poco appropriato ho chiamato “vento scatenato”.
Mi sentivo sicura nell’avere con me Stefano che ha già percorso più volte la strada, meno sicurezza c’era nel dove avremmo dormito, complice il fatto che non sapevamo di sicuro fin dove io ce l’avrei fatta ad arrivare.
Essere accolti subito al primo tentativo dai salesiani a Codigoro, pur presentandosi là, marito e moglie senza preavvisare, un’accoglienza immediata, una bella stanza con letti e doccia…forse un po’ troppo per un pellegrinaggio ma perché rifiutare ciò che ti offre la provvidenza?
E’ provvidenza anche fidarsi di cambiare percorso, lasciare la strada conosciuta ed inoltrarsi nella pineta, seguendo vaghe indicazioni di un signore che dava per certo strada asfaltata, per trovarsi invece in uno sterrato bellissimo che ricorda i nostri laghetti di Carturo, in mezzo a valli, boschetti, casoni, reti di pescatori, attraversando ponticelli in legno con suoni, colori, odori ben diversi dalla strada trafficata che pure sappiamo esserci a poca distanza da dove ci troviamo.
Seconda notte a Pinarella, posto ben conosciuto dai bikers pellegrini che più volte hanno approfittato della generosità del parroco, abbiamo dormito nel salone del patronato, lo stesso dove i nostri giovani, mia figlia compresa, sono stati ospitati in un loro campo in bici.
Non è facile rispondere alla domanda “com’è andata”? – ci sono cose che necessitano “dell’esperienza” per essere comprese; come posso condividere ciò che i miei occhi hanno visto, le sfumature, i colori, i paesaggi, le barche, il traffico? Come posso spiegare ciò che ho provato nei vari momenti della giornata? E’ sufficiente usare aggettivi? Non si tratta di voler gelosamente tenere per sé sensazioni ed emozioni ma della difficoltà del dire solo cose parziali, di cogliere solo piccoli particolari che, proprio perché vissuti in prima persona, diventano importanti (assume importanza perfino la ricerca di un supermercato per acquistare un tubetto di pasta all’ossido di zinco :-) )
Il giorno della partenza, venerdì, pioveva. Santa pioggia per qualcuno ma a noi non pareva poi così provvidenziale. Con pazienza abbiamo aspettato un po’ per vedere se smetteva, e così è stato. Nuvoloni scuri hanno tentato di minacciare la nostra corsa ora precedendoci, ora affiancandoci mai riuscendo però a bagnarci; con il sorgere del sole per almeno un’oretta un timido arcobaleno ha deciso di stare al nostro fianco, in lontananza, discreto, quasi a dare coraggio, speranza al nostro andare, quasi a dirci: “non preoccupatevi, la pioggia è qui lontana da voi ,andate pure sereni”,
Al di là dei numeri, mi rimane ciò che ho vissuto, ciò che saprò ricordare e che riaffiorerà di tanto in tanto...arcobaleno compreso - e l’avercela fatta.
In fondo esperienza è provare, tentare.