31 marzo 2014

Curvatura e conversione.

Nel fine giro di sabato scorso abbiamo incontrato un contadino che potava la vite usando ancora “ e strope” e non gli ormai più pratici cordini di gomma.
Ci diceva di essere rimasto uno degli ultimi ad usarle e soprattutto uno degli ultimi a potare la vite con la curvatura ad archetto…copio e incollo: La potatura però ha una variante, cioè la curvatura , vale a dire, dare al ramo o al capo la forma di un arco . Questo arco , a prima vista può sembrare un semplice sinonimo della piegatura. In realtà le conseguenze della curvatura  sul modo di vegetare della pianta , possono essere importanti, andando oltre il contenimento dello sviluppo vegetativo, pur esistente come nella semplice  piegatura . Infatti , curvare un ramo come un capo , pur aumentando lo sviluppo vegetativo, aumenta pure la capacità di differenziazione a fiore delle gemme, nonché di allegazione (fase iniziale dello sviluppo dei frutti successiva alla fioritura) .
Mi sarebbe piaciuto far un lavoro “di mani”, quello che facendo una cosa la vedi pian piano formarsi e definirsi. Ricordo sempre con piacere quando andavo a dare una mano a papà in qualche cantiere (gnente de particoare faxevo soeo el manovae) concludevo la giornata avendo sempre fatto qualcosa in più del giorno prima che potevo vedere e toccare. La vita  invece mi ha portato a fare un lavoro, che ho imparato a farmi piacere, dove contano di più le parole e dove vendo cose fatte da altri, non si può avere tutto J.
Ho sempre vissuto la parola conversione con un senso di insofferenza, forse perché richiama la rinuncia, il ritorno al rigore, al senso del dovere, in una parola a non perdere tempo con “le piccole cose della vita” che non sono la vera pietanza ma che, a mio parere, ne sono il condimento, donano il gusto e la rendono desiderata, non subita. Naturalmente è un mio personalissimo problema con questa parola che nasce dal tempo in cui andavo a catechismo e le quaresime erano vissute in modo “diverso”. Tuttavia la parola curvatura nell’accezione detta sopra mi risulta più sim-patica.
Ai miei occhi questo contadino, potando le sue viti con curvatura ad archetto, sembrava proprio che perdesse il suo tempo, ma la potatura anche se dolorosa è essenziale alla vita della pianta e ai suoi frutti.

Quanti tralci anch’io dovrei potare? Quanto bisogno ho di nuova vita? Non pretendo la conversione, mi basterebbe la curvatura ad archetto? 

12 marzo 2014

Che fadiga

Che fadiga
Ieri sono andato a rinnovare il certificato medico, tutto bene. Il dottore compilando a testa bassa delle carte mi dice: buona prova da sforzo, io, convinto di non essere visto, abbozzo un sorriso di autocompiacimento, lui si ferma, alza la testa, mi guarda sorride a sua volta, riabbassa la testa e continuando a scrivere sussurra: non ho detto che è una buona notizia. Come? Replico io. E lui: ad una certa età non è bene correre  costantemente al massimo dello sforzo o addirittura ad uno “sforzo eccessivo”.
Qual’è per me la soglia dello “sforzo eccessivo”?
Non sempre “l’oltre” è bene.
Non sempre delle buone prove producono buone notizie.

Sabato scorso ho ripreso in mano la bici, che fadiga tosi!!!
Da ottobre, a parte un giretto in mezzo alla nebbia e al ghiaccio fatto con il buon Bajo, non avevo più corso in bici. La maratona di Firenze prima, il brutto tempo poi, e anca un fiatin de poca voia le cause.
Sabato è stata una giornata bellissima, bel sole, buona compagnia e la conferma che la bici, ma non solo lei, non lascia molto spazio all’improvvisazione. Non importa pensare di essere allenati perché hai fatto quel tipo di giro molte altre volte, ne che hai fiato e gambe perché sei allenato in altri sport di resistenza, la relazione con la bici è altra cosa, un equilibrio di tecnica, forza e armonia, che come molte cose nella vita devi allenare con costanza.
Cosi sabato mi sono trovato a provare la fatica che va “oltre” quella normale dei sport di resistenza, quella che da un momento all’altro non ti da più la possibilità di proseguire. E’ ovviamente molto soggettiva e legata ad un equilibrio fisico e mentale. Per fortuna, grazie anche a Davide che mi ha “coperto” la ritirata, sono riuscito ad arrivare a casa senza gravi danni.
La filosofia del “no pain no gain” non mi appartiene completamente anche se devo dire che le cose e le relazioni più belle della mia vita sono state prima pensate, poi desiderate, infine preparate e curate con cura e attenzione.

Nelle poche gare che ho fatto non mi è mai successo di andare meglio che negli allenamenti. Può essere che come a Firenze una serie di concomitanze, tutte positive, contribuiscano a una prova particolarmente brillante(par mi naturalmente), ma se poi riguardo al mio foglio excel riportante la tabella di preparazione vedo molti allenamenti, lunghi, lunghissimi, ripetute corte, medie e lunghe, insomma la “corsa” a piedi, in bici e quella di ogni giorno è bene che la desideri il giorno prima. Credo infatti che desiderare sia uno dei verbi che precedono e preparano la prova, l’incontro.